domenica 29 gennaio 2012

NON C'È FUTURO SENZA MEMORIA COLORO CHE NON HANNO MEMORIA DEL PASSATO SONO DESTINATI A RIPETERLO

NON C'È FUTURO SENZA MEMORIA
COLORO CHE NON HANNO MEMORIA DEL PASSATO
SONO DESTINATI A RIPETERLO
Il 16 ottobre 1943
«La grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma cominciò attorno alle 5,30 del 16 ottobre 1943. Oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico. Contemporaneamente altri duecento militari si distribuirono nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime. Quando il gigantesco rastrellamento si concluse erano stati catturati 1022 ebrei romani. 
Due giorni dopo in 18 vagoni piombati furono tutti trasferiti ad Auschwitz. Solo 15 di loro sono tornati alla fine del conflitto: 14 uomini e una donna.
Tutti gli altri 1066 sono morti in gran parte appena arrivati, nelle camere a gas. Nessuno degli oltre duecento bambini è sopravvissuto.»
(F. Cohen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma)

NON C'È FUTURO SENZA MEMORIA
La voce di una donna sopravvissuta ai campi di sterminio
Testimonianze
Settimia Spizzichino: il dovere della memoria

Settimia Spizzichino
davanti al campo di
Auschwitz 
Ci sono cose che tutti vogliono dimenticare. Ma io no. Io della mia vita voglio ricordare tutto, anche quella terribile esperienza che si chiama Auschwitz: due anni in Polonia (e in Germania), due inverni, e in Polonia l’inverno è inverno sul serio, è un assassino.., anche se non è stato il freddo la cosa peggiore.
Tutto questo è parte della mia vita e soprattutto è parte della vita di tanti altri che dai Lager non sono usciti. E a queste persone io devo il ricordo: devo ricordare per raccontare anche la loro storia. L’ho giurato quando sono tornata a casa; e questo mio proposito si è rafforzato in tutti questi anni, specialmente ogni volta che qualcuno osa dire che tutto ciò non è mai accaduto, che non è vero.
Ho una buona memoria. E poi quei due anni li ho raccontati tante volte: ai giornalisti, alla televisione, ai politici, ai ragazzi delle scuole durante i molti viaggi che ho fatto per accompagnarli ad Auschwitz... anche se non sempre sono entrata nei particolari.
Ad Auschwitz si desidera tornare - anche molti di quei ragazzi lo desiderano - e a qualcuno sembra strano. Ma perché? È come andare al cimitero a portare un fiore e una preghiera. - Raccontavo sul pullman che ci portava in Polonia. È sul pullman che si parla, quando si arriva ad Auschwitz parla la guida e parlano le cose. Le poche che sono rimaste. C’è un museo, ma i forni crematori, le camere a gas, le costruzioni in muratura sono state distrutte. La prima volta che ci sono tornata ho provato più delusione che emozione, non riconoscevo il posto.
In questi cinquant’anni trascorsi da allora sono stata spesso sollecitata a scrivere questo libro.
E io lo volevo fare; ma c’erano ancora i parenti di quelle che sono rimaste là, i genitori, i fratelli, i mariti, i figli delle mie compagne del gruppo di lavoro. Quarantotto eravamo, e sono uscita viva soltanto io. Molte di loro le ho viste morire, di altre so che fine hanno fatto. Come raccontare a una madre, a un padre, che la loro figlia di vent’anni è morta di cancrena per le botte ricevute da una Kapò? Come descrivere la pazzia di alcune di quelle ragazze a coloro che le amavano? Adesso molti dei genitori, dei fratelli, dei mariti, non ci sono più; le ferite non sono più così fresche. A quelli che restano spero di non fare troppo male. Ma adesso devo mantenere la promessa che ho fatto a quarantasette ragazze che sono morte ad Auschwitz, le mie compagne di lavoro. E a tutti gli altri milioni di morti dei Lager nazisti.
Di quel gruppo faceva parte anche mia sorella Giuditta. Giuditta, così bella, così fragile, deportata assieme a me il 16 ottobre 1943. Giuditta, causa involontaria della cattura mia e della mia famiglia.
(Dal libro "Gli anni rubati" di Settimia Spizzichino)

COLORO CHE NON HANNO MEMORIA DEL PASSATO
SONO DESTINATI A RIPETERLO

Domenica 22 ottobre 2000
Marcia in ricordo del 16 ottobre 1943
da piazza di S. Maria in Trastevere al Portico d'Ottavia.

Intervento di apertura

Alessandro Zuccari
Comunità di Sant'Egidio




Cari amici,
ci ritroviamo oggi, come ogni anno, per ricordare il 16 ottobre 1943, giorno terribile della deportazione degli ebrei di Roma. All'alba di quella tragica giornata furono strappati alle loro case più di 1000 ebrei romani, per essere condotti nei campi di sterminio nazisti. Lo ricordiamo attraverso le parole di Settimia Spizzichino, una delle poche sopravvissute di quella deportazione, che molti di noi hanno conosciuto:
"Fummo ammassati davanti a S. Angelo in Pescheria: I camion grigi arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o col calcio del fucile uomini, donne, bambini ... e anche vecchi e malati, e ripartivano. Quando toccò a noi mi accorsi che il camion imboccava il Lungotevere in direzione di Regina Coeli... Ma il camion andò avanti fino al Collegio Militare. Ci portarono in una grande aula: restammo lì per molte ore. Che cosa mi passava per la testa in quei momenti non riesco a ricordarlo con precisione; che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande, spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portato a lavorare? E dove? Ci avrebbero internato in un campo di concentramento? "Campo di concentramento" allora non aveva il significato terribile che ha oggi. Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine della guerra; dove probabilmente avremmo sofferto freddo e fame, ma niente ci preparava a quello che sarebbe stato il Lager".
Al viaggio della morte di quel giorno si aggiunsero in seguito altri 1067 ebrei romani. Ne tornarono vivi soltanto 16, dopo la fine della guerra.
Ricordare insieme il 16 ottobre 1943, non è per noi un'abitudine. Anzi, più si allontana quel giorno e più cresce in noi la responsabilità di mantenere vivo il ricordo di quel tragico evento, che ha lasciato una ferita profonda non solo nella comunità ebraica di Roma, ma nella vita dell'intera città. Per questo la Comunità di Sant'Egidio e la Comunità ebraica di Roma, sono fedeli a questo appuntamento, compiendo ogni anno un pellegrinaggio della memoria, che da Trastevere si muove verso il Portico d'Ottavia.
E' un pellegrinaggio pacifico che vuole ripercorrere in senso contrario il triste itinerario di quella gente inerme, che fu deportata con violenza da queste strade. Oggi, assieme a tanti romani, si è unita una rappresentanza numerosa di amici che provengono da vari paesi del mondo, dall'Africa, dall'America, dall'Asia. Infatti, quest'appuntamento non è solo una tradizione che si ripete di anno in anno, ma è l'espressione di una volontà comune: vogliamo ricordare perché quel 16 ottobre non si ripeta mai più. Ricordiamo perché non si ripeta mai più! E' la stessa volontà che Giovanni Paolo il ha espresso durante la storica visita al Mausoleo di Yad Vashem, a Gerusalemme, proprio nel marzo di quest'anno:
"Sono venuto a Yad Vashem - ha detto il papa - per rendere omaggio ai milioni di Ebrei che, privati di tutto, in particolare della loro dignità umana, furono uccisi nell'Olocausto. Più di mezzo secolo è passato, ma i ricordi permangono... Noi vogliamo ricordare. Vogliamo però ricordare per uno scopo, ossia per assicurare che mai più il male prevarrà, come avvenne per milioni di vittime innocenti del Nazismo".
Ricordare è impedire che il male prevalga. Ricordare è ripetere: mai più! Lo ripetiamo oggi, davanti a nuove e preoccupanti manifestazioni di antisemitismo avvenute nelle scorse settimane in vari paesi europei. L'insorgere di nuove forme di intolleranza e di antisemitismo ci impegna ancor più perché questa memoria resti viva qui a Roma, in Italia e nel mondo intero.
Non possiamo dimenticare l'orrore della guerra e del nazismo, che portarono alla Shoà, quell'evento unico e tragico: lo sterminio di sei milioni di ebrei. Vogliamo ricordare tutte le vittime dei campi di sterminio nazisti: assieme agli ebrei, gli zingari e tutti quelli che subirono le discriminazioni delle leggi razziali.
Questo pellegrinaggio della memoria è un impegno a diffondere una cultura nuova, una cultura del dialogo e della solidarietà con tutti, una cultura della pace. Abbiamo una eredità da trasmettere, specialmente alle giovani generazioni: è il patrimonio di umanità e di pace che abbiamo ricevuto. Lo ripetiamo oggi con forza, perché ogni forma di intolleranza e di razzismo non abbiano più spazio nella nostra società e in ogni parte del mondo.





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