NON C'È FUTURO SENZA MEMORIA
COLORO CHE NON HANNO MEMORIA DEL PASSATO
SONO DESTINATI A RIPETERLO
COLORO CHE NON HANNO MEMORIA DEL PASSATO
SONO DESTINATI A RIPETERLO
Il 16 ottobre 1943
«La
grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma cominciò attorno alle 5,30 del
16 ottobre 1943. Oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il
quartiere ebraico. Contemporaneamente altri duecento militari si
distribuirono nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva
diviso la città alla ricerca di altre vittime. Quando il gigantesco
rastrellamento si concluse erano stati catturati 1022 ebrei romani.
Due
giorni dopo in 18 vagoni piombati furono tutti trasferiti ad Auschwitz.
Solo 15 di loro sono tornati alla fine del conflitto: 14 uomini e una
donna.
Tutti gli altri 1066 sono morti in gran parte appena arrivati, nelle camere a gas. Nessuno degli oltre duecento bambini è sopravvissuto.»
(F. Cohen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma)
Tutti gli altri 1066 sono morti in gran parte appena arrivati, nelle camere a gas. Nessuno degli oltre duecento bambini è sopravvissuto.»
(F. Cohen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma)
NON C'È FUTURO SENZA MEMORIA
La voce di una donna sopravvissuta ai campi di sterminio
La voce di una donna sopravvissuta ai campi di sterminio
Testimonianze
Settimia Spizzichino: il dovere della memoria
Settimia Spizzichino: il dovere della memoria
Settimia Spizzichino davanti al campo di Auschwitz |
Ci
sono cose che tutti vogliono dimenticare. Ma io no. Io della mia vita
voglio ricordare tutto, anche quella terribile esperienza che si chiama
Auschwitz: due anni in Polonia (e in Germania), due inverni, e in
Polonia l’inverno è inverno sul serio, è un assassino.., anche se non è
stato il freddo la cosa peggiore.
|
Tutto
questo è parte della mia vita e soprattutto è parte della vita di tanti
altri che dai Lager non sono usciti. E a queste persone io devo il
ricordo: devo ricordare per raccontare anche la loro storia. L’ho
giurato quando sono tornata a casa; e questo mio proposito si è
rafforzato in tutti questi anni, specialmente ogni volta che qualcuno
osa dire che tutto ciò non è mai accaduto, che non è vero.
Ho
una buona memoria. E poi quei due anni li ho raccontati tante volte: ai
giornalisti, alla televisione, ai politici, ai ragazzi delle scuole
durante i molti viaggi che ho fatto per accompagnarli ad Auschwitz...
anche se non sempre sono entrata nei particolari.
Ad
Auschwitz si desidera tornare - anche molti di quei ragazzi lo
desiderano - e a qualcuno sembra strano. Ma perché? È come andare al
cimitero a portare un fiore e una preghiera. - Raccontavo sul pullman
che ci portava in Polonia. È sul pullman che si parla, quando si arriva
ad Auschwitz parla la guida e parlano le cose. Le poche che sono
rimaste. C’è un museo, ma i forni crematori, le camere a gas, le
costruzioni in muratura sono state distrutte. La prima volta che ci sono
tornata ho provato più delusione che emozione, non riconoscevo il
posto.
In questi cinquant’anni trascorsi da allora sono stata spesso sollecitata a scrivere questo libro.
E io lo volevo fare; ma c’erano ancora i parenti di quelle che sono rimaste là, i genitori, i fratelli, i mariti, i figli delle mie compagne del gruppo di lavoro. Quarantotto eravamo, e sono uscita viva soltanto io. Molte di loro le ho viste morire, di altre so che fine hanno fatto. Come raccontare a una madre, a un padre, che la loro figlia di vent’anni è morta di cancrena per le botte ricevute da una Kapò? Come descrivere la pazzia di alcune di quelle ragazze a coloro che le amavano? Adesso molti dei genitori, dei fratelli, dei mariti, non ci sono più; le ferite non sono più così fresche. A quelli che restano spero di non fare troppo male. Ma adesso devo mantenere la promessa che ho fatto a quarantasette ragazze che sono morte ad Auschwitz, le mie compagne di lavoro. E a tutti gli altri milioni di morti dei Lager nazisti.
E io lo volevo fare; ma c’erano ancora i parenti di quelle che sono rimaste là, i genitori, i fratelli, i mariti, i figli delle mie compagne del gruppo di lavoro. Quarantotto eravamo, e sono uscita viva soltanto io. Molte di loro le ho viste morire, di altre so che fine hanno fatto. Come raccontare a una madre, a un padre, che la loro figlia di vent’anni è morta di cancrena per le botte ricevute da una Kapò? Come descrivere la pazzia di alcune di quelle ragazze a coloro che le amavano? Adesso molti dei genitori, dei fratelli, dei mariti, non ci sono più; le ferite non sono più così fresche. A quelli che restano spero di non fare troppo male. Ma adesso devo mantenere la promessa che ho fatto a quarantasette ragazze che sono morte ad Auschwitz, le mie compagne di lavoro. E a tutti gli altri milioni di morti dei Lager nazisti.
Di
quel gruppo faceva parte anche mia sorella Giuditta. Giuditta, così
bella, così fragile, deportata assieme a me il 16 ottobre 1943.
Giuditta, causa involontaria della cattura mia e della mia famiglia.
(Dal libro "Gli anni rubati" di Settimia Spizzichino)
COLORO CHE NON HANNO MEMORIA DEL PASSATO
SONO DESTINATI A RIPETERLO Domenica 22 ottobre 2000 Marcia in ricordo del 16 ottobre 1943 da piazza di S. Maria in Trastevere al Portico d'Ottavia. Intervento di apertura Alessandro Zuccari Comunità di Sant'Egidio |
Cari amici,
ci
ritroviamo oggi, come ogni anno, per ricordare il 16 ottobre 1943,
giorno terribile della deportazione degli ebrei di Roma. All'alba di
quella tragica giornata furono strappati alle loro case più di 1000
ebrei romani, per essere condotti nei campi di sterminio nazisti. Lo
ricordiamo attraverso le parole di Settimia Spizzichino, una delle poche
sopravvissute di quella deportazione, che molti di noi hanno
conosciuto:
"Fummo ammassati davanti a S. Angelo in
Pescheria: I camion grigi arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o
col calcio del fucile uomini, donne, bambini ... e anche vecchi e
malati, e ripartivano. Quando toccò a noi mi accorsi che il camion
imboccava il Lungotevere in direzione di Regina Coeli... Ma il camion
andò avanti fino al Collegio Militare. Ci portarono in una grande aula:
restammo lì per molte ore. Che cosa mi passava per la testa in quei
momenti non riesco a ricordarlo con precisione; che cosa pensassero i
miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande,
spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portato a lavorare? E dove? Ci
avrebbero internato in un campo di concentramento? "Campo di
concentramento" allora non aveva il significato terribile che ha oggi.
Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine della guerra; dove
probabilmente avremmo sofferto freddo e fame, ma niente ci preparava a
quello che sarebbe stato il Lager".
Al viaggio della
morte di quel giorno si aggiunsero in seguito altri 1067 ebrei romani.
Ne tornarono vivi soltanto 16, dopo la fine della guerra.
Ricordare
insieme il 16 ottobre 1943, non è per noi un'abitudine. Anzi, più si
allontana quel giorno e più cresce in noi la responsabilità di mantenere
vivo il ricordo di quel tragico evento, che ha lasciato una ferita
profonda non solo nella comunità ebraica di Roma, ma nella vita
dell'intera città. Per questo la Comunità di Sant'Egidio e la Comunità
ebraica di Roma, sono fedeli a questo appuntamento, compiendo ogni anno
un pellegrinaggio della memoria, che da Trastevere si muove verso il
Portico d'Ottavia.
E' un pellegrinaggio pacifico che
vuole ripercorrere in senso contrario il triste itinerario di quella
gente inerme, che fu deportata con violenza da queste strade. Oggi,
assieme a tanti romani, si è unita una rappresentanza numerosa di amici
che provengono da vari paesi del mondo, dall'Africa, dall'America,
dall'Asia. Infatti, quest'appuntamento non è solo una tradizione che si
ripete di anno in anno, ma è l'espressione di una volontà comune:
vogliamo ricordare perché quel 16 ottobre non si ripeta mai più.
Ricordiamo perché non si ripeta mai più! E' la stessa volontà che
Giovanni Paolo il ha espresso durante la storica visita al Mausoleo di
Yad Vashem, a Gerusalemme, proprio nel marzo di quest'anno:
"Sono
venuto a Yad Vashem - ha detto il papa - per rendere omaggio ai milioni
di Ebrei che, privati di tutto, in particolare della loro dignità
umana, furono uccisi nell'Olocausto. Più di mezzo secolo è passato, ma i
ricordi permangono... Noi vogliamo ricordare. Vogliamo però ricordare
per uno scopo, ossia per assicurare che mai più il male prevarrà, come
avvenne per milioni di vittime innocenti del Nazismo".
Ricordare
è impedire che il male prevalga. Ricordare è ripetere: mai più! Lo
ripetiamo oggi, davanti a nuove e preoccupanti manifestazioni di
antisemitismo avvenute nelle scorse settimane in vari paesi europei.
L'insorgere di nuove forme di intolleranza e di antisemitismo ci impegna
ancor più perché questa memoria resti viva qui a Roma, in Italia e nel
mondo intero.
Non possiamo dimenticare l'orrore
della guerra e del nazismo, che portarono alla Shoà, quell'evento unico e
tragico: lo sterminio di sei milioni di ebrei. Vogliamo ricordare tutte
le vittime dei campi di sterminio nazisti: assieme agli ebrei, gli
zingari e tutti quelli che subirono le discriminazioni delle leggi
razziali.
Questo pellegrinaggio della memoria è un
impegno a diffondere una cultura nuova, una cultura del dialogo e della
solidarietà con tutti, una cultura della pace. Abbiamo una eredità da
trasmettere, specialmente alle giovani generazioni: è il patrimonio di
umanità e di pace che abbiamo ricevuto. Lo ripetiamo oggi con forza,
perché ogni forma di intolleranza e di razzismo non abbiano più spazio
nella nostra società e in ogni parte del mondo.
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