martedì 26 gennaio 2016

Shoah - la mappa del terrore in Abruzzo


Giornata della Memoria e anche l’Abruzzo protagonista della Shoah con i suoi numerosi campi di concentramento non può dimenticare. Una lista infinita che dal 1940 al 1944 sarà sinonimo di deportazione e torture. Costantino Di Sante nel suo libro “I campi di concentramento in Abruzzo”, ricostruisce quegli anni grazie al materiale dell’archivio centrale di Stato. L’Abruzzo venne considerata una delle regioni più adeguate per ospitare i campi di internamento perché nella scelta dei luoghi influivano «l’impervietà dei luoghi, la scarsa concentrazione abitativa e la minore politicizzazione della popolazione».
Saranno 15 i campi attivati e 59 le località d’internamento. Per ciscuna persona devono essere a disposizione « una branda o letto in ferro con rete metallica o con telo, materasso e guanciale di lana borra con federa, due lenzuola di tela canapina o di cotone, una coperta di lana oppure di cotone per la stagione estiva, due asciugamani di tela, una seggiola, un attaccapanni, un catino di metallo, un comodino di legno, una bottiglia, un bicchiere di vetro o di alluminio».
CASOLI Il campo di concentramento di Casoli attivato nel1940 ed era composto da due edifici: uno di proprietà privata e l’altro era una ex scuola comunale. Qui venivano portati «principalmente ebrei di nazionalità tedesca e austriaca. Le condizioni degli internati di Casoli all’inizio non furono particolarmente dure grazie al Podestà, che, applicò in modo blando le disposizioni previste per l’internamento, e grazie anche all’atteggiamento comprensivo della popolazione locale».
CHIETI «Il campo di Chieti era stato istituito nell’asilo infantile "Principessa di Piemonte", ed i bambini, circa duecento, che si trovavano nell’edificio, vennero sistemati nell’Istituto S. Maddalena. Il 14 settembre 1940, erano presenti nel campo 21 internati e, il 15 ottobre dello stesso anno, il campo raggiunse le 29 presenze, gli internati furono sempre in grande maggioranza, inglesi e francesi .
ISTONIO MARINA (Vasto) Il campo di Istonio Marina fu uno dei primi campi abruzzesi ad essere allestiti. L’11 giugno 1940 era già attivato. Aveva una capienza complessiva, preventivata all’inizio, di 280 posti, poi diminuita a 170. Nel campo di Istonio vi si internarono, soprattutto, italiani ritenuti "pericolosi", e solo negli ultimi mesi, precedenti la chiusura, gli slavi. Le condizioni di vita vennero rese difficili dalla mancanza di spazio e degli infissi in alcuni locali, dall’insufficienza dei servizi igienici, dalle difficoltà di approvvigionamento del vitto e dall’atteggiamento arbitrario, nei confronti degli internati, del direttore Vincenzo Prezioso».
LAMA DEI PELIGNI. Il campo di Lama dei Peligni era composto dalla casa di proprietà della vedova Camilla Borrelli, si trovava all’interno del paese e aveva una capienza di 60 posti. Gli internati consumavano il vitto nelle locande del paese; il che permetteva loro, oltre ad una certa libertà di movimento, la possibilità di avere contatti (benché proibiti), con la popolazione locale, che ebbe sempre un atteggiamento comprensivo nei loro confronti»
LANCIANO. «Il campo di Lanciano era per sole donne. Rimase un campo prettamente femminile fino al febbraio 1942, quando le internate vennero trasferite altrove e sostituite dagli slavi».
TOLLO «Il 23 febbraio 1942, arrivarono a Tollo 42 "comunisti pericolosi politicamente", provenienti dai campi di concentramento dell’Albania. Erano tutti uomini, di cui 39 jugoslavi e tre montenegrini. Il campo offre pochissima garanzia essendo esso sistemato in fabbricato civile già adibito ad abitazione privata al quale nessun ritocco è stato apportato. Tale fabbricato sorge al centro del paese; ha balconi e finestre privi di inferiate di protezione, i quali per essere sovrastanti ad altri, più vicino al suolo, possono favorire la scalata e quindi la fuga».
CITTA' SANT’ANGELO. «Il campo di Città S. Angelo rimase vuoto fino al febbraio 1941, nonostante che l’Ispettore Falcone, nei mesi precedenti, avesse più volte comunicato al Ministero che il campo era stato attivato ed era pronto a ricevere gli internati». Il campo veniva così descritto. «Appena entrati appare una porta che dà in una camera buia senza finestre destinata per le punizioni. In un piano terreno sopraelevato sono i dormitori, ampi, con il pavimento a tavolato di legno. Uno dei dormitori trovasi al piano superiore. Finora nessun locale è stato destinato per l’eventuale isolamento o infermeria o ambulatorio, vi è il bagno ma senza scaldabagno che necessita. Le vaccinazioni non sono ancora state eseguite. Solo alla fine del 1942, verrà costruita l’infermeria con una camera da bagno completa di vasca, lavandino e due docce.nell’inverno del 1942, erano presenti nel campo circa 120 internati, quasi tutti jugoslavi, tra i quali "ventisei individui».
CIVITELLA DEL TRONTO «Il campo era composto da tre edifici: dall’Ospizio "Filippo Alessandrini" ( ex convento dei Cappuccini), di proprietà del comune; dall’abitazione della sig.ra Vinca Migliorati, che si trovava all’estremità del paese in via Porta Venore e dal convento Francescano di S. Maria dei Lumi, di proprietà dei frati Minori». Qui vennero internati tutti ebrei di nazionalità inglese provenienti dalla Libia: divisi in 28 famiglie, composti in prevalenza da vecchi donne e bambini con molti bambini, essi avevano bisogno di movimento e di passeggiate all’aria aperta».
CORROPOLI. «Il campo di concentramento di Corropoli venne istituito nel monastero dei frati Celestini denominato Badia, a circa un chilometro dal paese in contrada Colli.
Il 3 marzo 1941 il campo di Corropoli contava 18 internati; nel corso dei mesi successivi ci furono nuovi arrivi, e il campo, nell’agosto del 1941, raggiunse le 64 presenze.
ISOLA DEL GRAN SASSO. Il campo di concentramento di Isola del Gran Sasso era composto da due edifici. Uno di essi si trovava vicino alla Basilica di S. Gabriele, ed era un grande salone, fatto costruire dai Padri Passionisti del Santuario per il ricovero di pellegrini. L’altro edificio (che venne adibito a campo di concentramento) si trovava a due chilometri da Isola, ed era un ex albergo (S. Gabriele), di recente costruzione, di proprietà della famiglia Santilli.
NERETO. Il campo di concentramento di Nereto era composto da tre edifici. «Due di essi, la casa di Silvio Santoni in viale Vittorio Veneto e il secondo piano della casa di proprietà di Carmine Lupini in vicolo Scarfoglio, vennero istituiti nel giugno 1940, mentre il fabbricato di proprietà del consorzio agrario, detto "palazzo bacologico" in viale Roma, nel settembre successivo. Nella "casa in vicolo Scarfoglio n. 4", si trovava senza docce e senza infermeria ed era occupata da "16 israeliti, uomini, di varie nazionalità ma in maggioranza tedeschi". Invece la "casa privata in viale Vittorio Veneto n. 39", dove vi erano internati "50 ebrei tedeschi e polacchi", era l’unico, dei tre edifici, in ottimo stato, e l’unico "che abbia un bagno a doccia, costruito appositamente (a spese di un internato
NOTARESCO. Questo campo di concentramento «fu uno dei primi campi, della provincia di Teramo, ad essere allestito e a ricevere i primi internati. Era composto da due edifici: il fabbricato di proprietà dei Marchesi De Vincenzi - Mazzarosa in via Borgo n. 14, con 90 posti e la casa di Eligio Liberi (eredi Caruso), in via Giardino n. 14, con 41 posti.
LA DISCIPLINA
Nei campi di concentramento di di Istonio, Tollo, Città S. Angelo, Civitella, Corropoli e Tossicia, «il regolamento venne applicato in modo più rigido e concessa meno libertà agli internati, il che può essere attribuito, in alcuni casi, alla "maggiore pericolosità degli internati", in altri, semplicemente alla severità dei singoli direttori»
L’ALIMENTAZIONE. «I Prefetti abruzzesi stipularono accordi con trattorie, esercizi alimentari e con qualche contadino, per assicurare l’approvvigionamento alimentare. Nei campi dove fu possibile, venne approntata una mensa comune, che veniva gestita, quasi sempre, dagli stessi internati, i pasti venivano consumati all’interno del campo e tutti contribuivano all’acquisto dei viveri». Per il cibo la direzione tratteneva un sussidio e la cifra variabile, dalle 5 lire alle 7 del campo di Corropoli. Per questa cifra veniva fornito «un quarto di latte misto a surrogato; al mezzogiorno ad un piatto di minestra di circa 300 grammi composto di pasta e patate o pasta, patate e fagioli; di un secondo composto di 100 grammi di carne quanto il mercato ne è provvisto, di verdura e frutta fresca in misura di 150 o 200 grammi, ovvero di 60 grammi di formaggio o di 70 di marmellata, e di 150 grammi di pane. nelle 7 lire sono compresi i condimenti e la legna per cucinare».
CONDIZIONI IGIENICHE E SANITARIE. «Le condizioni igieniche e sanitarie dei campi abruzzesi, nella maggior parte dei casi, risultavano essere pessime. Questo era da ricondurre, soprattutto, allo stato degli edifici adibiti a campi di concentramento. locali, quasi sempre umidi con gli infissi inadeguati, venissero riscaldati con delle stufe a legna, il freddo pungente nei mesi invernali, in particolare nei campi di Lama dei Peligni, Casoli,Civitella del Tronto, Isola del Gran Sasso e Tossicia, era insopportabile, e causò numerose malattie da raffreddamento (reumatismi, artriti, influenze e polmoniti). Oltre a queste, le malattie più ricorrenti, diagnosticate dai medici condotti, erano: tubercolosi, poliomenite, tifo, scabbia, amenorrea, dissenteria, imbarazzi gastrico febbrili, eternite acuta, blenoraggia e, specialmente nel campo femminile di Lanciano, minacce di aborto, esaurimento nervoso e attacchi isterici».
Campi di concentramento, il teramano era un’area strategica
di Cinzia Rosati
Durante la seconda guerra mondiale, 7 località in provincia di Teramo videro sorgere 13 centri di detenzione per ebrei, polacchi, prigionieri politici. In un libro vengono analizzate le motivazioni che resero il territorio abruzzese ideale - rispetto alle altre regioni - per la collocazione di tali luoghi di agghiacciante prigionia.
VAL VIBRATA - Nel periodo nazi-fascista, su 50 località italiane in cui erano stati allestiti dei campi di concentramento, ben 14 erano collocate in Abruzzo. E ogni paese erano presenti uno o più istituti di detenzione. Come mai una così alta concentrazione di campi di prigionia nel suolo abruzzese?
Italia Iacoponi, nel suo libro "Il fascismo, la resistenza, i campi di concentramento in provincia di Teramo" adduce come spiegazione il fatto soprattutto che le località in provincia di Teramo erano scelte dalle gerarchie fasciste perché ritenute militarmente meno importanti e quindi meno interessate da eventi bellici. Su queste scelte notevole influenza ebbe anche l'impervità dei luoghi (soprattutto le località dell'entroterra, come Civitella, Teramo, Isola del Gran Sasso, Tossicia), e la scarsa politicizzazione della popolazione, che quindi non costituiva una minaccia per la gestione degli istituti come invece sarebbe avvenuto nelle vicinanze delle grandi aree urbane o in zone con una più sviluppata coscienza politica.
Nel volume vengono riportate anche numerose testimonianze dell'epoca, raccolte dall'autrice attraverso memoriali di ex detenuti sopravvissuti. «Voglio esprimere la mia gratitudine - racconta Kalisiak, polacco prigioniero nel campo di concentramento istituito nel palazzo Bacologico di Nereto - per la titolare di un negozio di alimentari che spesso, di notte, faceva entrare nel campo patate, verdure, pane, con grande rischio per lei e per noi prigionieri».
Kalisiak racconta anche come, essendo medico, nel periodo di prigionia si ritrovò anche estrarre dei denti d'oro ad altri prigionieri che poi li vendevano in cambio di un pezzo di pane o beni di prima necessità.
Le condizioni di vita nei vari campi della Val Vibrata (a Corropoli, Tortoreto, Nereto, Alba Adriatica e Civitella) erano incentrate su un attento controllo dei detenuti - ebrei, polacchi e prigionieri politici - che tuttavia vivevano condizioni di prigionia più dignitose rispetto a quelle dei grandi lager europei, anche se tali istituti abruzzesi erano solo un punto di passaggio e di "appoggio momentaneo" prima del trasporto dei reclusi nei campi di concentramento in Austria, Germania o Polonia. Solo pochi fortunati riuscirono a scappare a questo triste destino e a vedere la liberazione nel 1944 nei campi di detenzione abruzzesi.